Non è una commedia come le altre, tipo "commedia degli equivoci", ma piuttosto del genere "parenti-serpenti". Rappresenta uno spaccato di vita reale, in un'ambientazione molto realistica, con personaggi che si esprimono nel loro linguaggio "crudo"... È l'apoteosi dei peggiori stereotipi negativi della vita moderna. Fa ridere, molto, ma alla fine anche riflettere... La scena si svolge nella sala d'attesa del reparto di terapia intensiva di un ospedale dove viene ricoverato, in condizioni gravi, il ricco proprietario di una catena di macellerie. Al suo capezzale accorrono la figlia con il marito, galoppino a vita del tirannico suocero. Mentre la coppia tenta di accedere al reparto per visitare l'anziano, giunge anche l'altra figlia, anima libera in giro per il mondo alla ricerca di se stessa. Nell'attesa che si evolva la situazione del congiunto, nel confuso scambio di notizie ricevute da un infermiere distaccato e invadente, emergono le loro diverse personalità , lo spasmodico desiderio di ereditare, che cancella ogni pudore, falso rigore esistenziale, finto attaccamento maritale. In un concitato scambio di battute, spunta in ospedale la giovane badante rumena del vecchio, abituata a combattere con le sue armi una sorta di lotta per la sopravvivenza. I quattro discutono incivilmente e fraternamente sulla scia di buoni propositi e piccole miserie: stereotipi di egoismo e meschinità dell'animo umano. Si ride dall'inizio all'imprevedibile finale. Ma è un riso amaro, scoppiettante e involontariamente comico.
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